domenica 14 settembre 2025

 Juan Rulfo

Pedro Pàramo

Un giovane nel rigoglio degli anni viene edotto dalla madre in punto di morte sull'identità del proprio padre, che il ragazzo non ha mai conosociuto. La donna indica una località lontana quale luogo ove si trova l'uomo in questione, chiamato Pedro Pàramo. Il giovane si mette in marcia a dorso di cavallo e ginge nella regione del Messico dei primi anni del secolo scorso, a nome Comala che la madre ha indicato come la regione in cui si trova il padre del ragazzo. Per strada incontra un uomo anch'egli a cavallo che lo indirizza circa la strada per giungere a destinazione. Una volta giunto sul posto il giovane viene a sapere che il presunto padre è defunto, ed anche che in vita l'uomo era stato l'unico tenutario di una regione assai estesa, detta "Mezzaluna", così chiamata a causa del fatto di essere delimitata da un'orizzonte montagnoso i cui picchi da est ad ovest disegnavano un profilo che per la propria forma richiamava in qualche modo la figura di una mezza luna rocesciata sul dorso. Il giovane ha modo di conoscere anche l'attuale stato dei possedimenti del defunto padre, ossia una landa desolata in cui non si pratica più né allevamento né agricoltura, da quando il padre cessò di vivere e di esercitare la propria autorità in quel luogo. Il giovane apprende che il il Signor Pàramo aveva in vita conosciuto molte donne e avuto altrettanti figli, senza però riconoscerne alcuno a parte uno, di nome Miguel, che, morto in giovane età, si era distinto, nella propria breve vita, per una condotta violenta e dissoluta. 

Passando di casa in casa in cerca di ospitalità poiché impossibilitato a trovare luoghi dove è consentito pagare per trascorrere la notte, il giovane incontra persone aduse ad accogliere viaggiatori e dalle parole e dai modi di fare degli ospiti comprende che il luogo in cui si trova è "terra maledetta" da decenni di abbandono. Ciò ha modo di constatare a causa di fenomeni che riallacciano la vita attuale dello sparuto borgo di casupole a quella di un antico splendore, quando ancora l'economia del posto era fiorente e la vita degli abitanti non era stata soggiogata dal peccato e dalla miseria. Fenomeni che spesso si ripetono come se coloro che da vivi vi avevano partecipato fossero in qualche modo condannati a rivivere le stesse macabre esperienze vissute prima di morire.

La struttura del romanzo di Rulfo si articola in una serie di visioni d'incubo che riguardano l'attuale stato di cose nella "Mezzaluna", visioni che accompagnano molti viaggiatori che una volta giunti in quel luogo, non riescono più a lasciarlo, insieme ad una serie di allucinazioni che riguardano ciascuna l'incontro degli antichi dominatori di quelle lande ormai maledette con eserciti avversi ma anche a volte impegnati in trattative dirette a garantire aiuti economici a drappelli di guerriglieri improvvisati, visioni che mostrano per l'appunto schiere di rivoltosi al servizio del rivoluzionario di turno che chiedono denaro per finanziare le proprie scorribande, tese a rovesciare i tanti regimi dittatoriali che da sempre si avvicendano nella storia del Messico, semplicemente e immancabilmente per instaurarne di nuovi sempre più feroci. Le voci di gente morta portata in quei luoghi da un vento pregno di peccato e di morte li rendono ancor più lontani dall'antica realtà delle cose, cioè da un tempo in cui essi luoghi erano prosperi e fiorenti e che ora sono lasciati a sé stessi, perché privati delle proprie tradizioni e ormai in balìa di violenze e superstizioni che spesso si traducono in pratiche sanguinarie.

Ovviamente nel romanzo è ben descritto il ruolo della Chiesa cristiano/cattolica, nelle persone di preti e curati che nonostante tutte le vicissitudini peccaminose, ma soprattutto per il verificarsi di fenomeni di commistione del mondo dei vivi con quello dei morti, vegliano a che la volontà di Dio sia clemente, con coloro che il destino ha coinvolto in peccati atroci e che secondo le leggi cristiane si trovano nell'impossibilità di accedere al mondo celeste.

Ad esempio per quanto attiene al funerale dell'unico figlio, tra i molti, avuti con donne diverse sia per aspetto che per condizione sociale, ufficialmente riconosciuto da Don Pedro Pàramo, il meno che ventenne Miguèl, accusato di aver violentato una ragazzina e di aver ucciso un uomo, alla morte dello stesso Miguèl e data la umilissima richiesta del padre biologico, cioè Don Pedro, di avere dei funerali degni di una persona che era ancora in età puberale, e qundi non del tutto padrona delle proprie azioni, viene accontetato del prete con una benedizione di circostanza elargita in camera ardente. Ciò a dimostrare come anche gli emissari di Dio fossero a volte costretti ad ossequiare il Potere in combio di privilegi, anche economici.

A volte in quelle lande dimenticate da Dio accadeva, prima che Don Pedro morisse, che eserciti al soldo dell'uno o dell'altro rivoluzionario, che in Messico in quegli anni proliferavano, come neanche le zanzare d'estate nelle catapecchie rose dal sole e dal caldo torrido, che tali sedicenti eserciti impegnati in lotte combattute "in nome del popolo" si concedessero una siesta presso le poche case che, in ricordo di tempi andati, erano note al di fuori della "Mezzaluna" per dare ospitalità a coloro che fossero provati dalla durezza delle condizioni di viaggio in quei luoghi.

Tutto ciò che viene narrato a proposito delle vicende dipanatesi in quelle lande è inserito, a mo' di cornice, all'interno della descrizione desolante da parte dell'Autore, di ciò che era rimasto dei possedimenti e soprattutto dei "peccati" di Don Pedro. Cosicché quando il giovane, che all'inizio del racconto, sempre su consiglio della propria madre, un tempo concubina di Don Pedro, giunge sul posto, deve constatare che sebbene le cose in Messico fossero, a detta dei molti eserciti guerriglieri, mutate in meglio a favore degli agricoltori e allevatori un tempo affamati, l'impressione che si ricava di primo acchito è che di migliore c'è ben poco, a parte la funesta e progressiva destrutturazione dell'abitato e anche dei mezzi e del lavoro per il cui tramite gli agricoltori e gli allevatori di un tempo, sotto l'autorità di Don Pedro, rendevano ricchi e prosperi quei suoli ormai bruciati o resi sterili da un caldo inclemente. In entrambi i casi inservibili alla coltivazione.

Per quanto riguarda ciò cui mi pare il romanzo si possa ricondurre quale intrinseca caratteristica, esso romanzo è, a differenza ad esempio, dei romanzi di un autore su tutti, tra quelli di cultura latinoamericana, cioè Garcìa Màrquez, peraltro precedentemente citati e commentati su questo sito, quella di un pessimismo cosmico circa la ventura e il destino intrinseci all'umana condizione, ossia di povertà e degrado, come anche di sopraffazione del più forte ai danni del più vile; uno stato di degrado che neanche la Chiesa, pur presente dai tempi dei primi coloni europei, riuscirebbe mai a sradicare, pur alleviandolo per quanto possibile.

Mi pare anche di capire che il genere di letteratura cui appartiene l'opera di Rulfo non sia per niente il "realismo" a volte "magico" che è la caratteristica distintiva ancora di un Garcìa Màrquez, il quale nella fiabesca innocenza della propria narrativa, quest'ultima non si capisce se parte dell'indole personale dello scrittore ovvero semplice espediente letterario utilizzato alla bisogna per nobilitare patriotticamente, agli occhi del lettore, gli orrori della dittatura e della guerra civile costruendo un mondo in cui una fucilazione è degna della stessa spiegazione fatalistica che sta alla base del contagio da colera, tifo o altre malattie che all'epoca in cui Màrquez ambienta i propri romanzi erano più che diffuse e per quali non esistevano ancora rimedi. Insomma una fucilazione non è colpa di nessuno, come non lo è una broncopolmonite.

Il Centro America è descritto da Rulfo in modo che l'apertura al mondo "fantastico" propria di Màrquez sia utile solamente a spiegare certi fenomeni che senz'altro fanno parte della realtà estrinsecamente descritta e che si legano a credenze e riti precolombiani, fusi a loro modo, molto probabilmente mediante commistione, ossia a causa della mescolanza tra culture poste agli antipodi dell'orbe terracqueo, che in un certo momento si incontrano e si scambiano sentori, umori e fervore, nonché idee e dogmi che fanno riferimento sia alla tradizione cattolica dei primi coloni spagnoli che alle millenarie credenze dei nativi. Un miscuglio che è rimasto nel modo d'essere e di concepire la vita degli stessi discendenti dei primi indios e a seguito delle unioni tra bianchi e nativi da cui nacquero coloro che per il colore della pelle, ma anche per i moti della psiche, divennero noti come "meticci" o "mulatti". Questa commistione è più che evidente nella struttura sociale evidenziata nel romanzo: l'esigenza di un capo che potesse eguagliare per "autorità un imperatore azteco", cui tutto fosse concesso, persino disporre della vita e della morte dei propri sudditi. Ma è evidente anche nel sistema di credenze persistente nonostante gli sforzi dei missionari inviati dalla Chiesa: rimane come mescolanza la credenza negli spiriti intendendo, quali spiriti, non più i demoni della tradizione degli indios, ma la trasfigurazione di quelle stesse entità dal piano del  non conoscibile al piano del conoscibile per mezzo di riti evocativi, ossia attribuendo a quelle stesse entità, un tempo direttamente oggetto di culto, la natura di presenze anch'esse in qualche modo conoscibili per effetto della credenza in spiriti in nulla differenti dagli antichi idoli se non per la loro identificabilità in persone fisiche che antecedentemente ad una morte corporale non meritevole di perdono e quindi immeritevole dell'accesso ai sacramenti indispensabili per accedere al Cielo, erano vissute al pari e di fianco a tutti i comuni mortali incontrati in vita.

Per concludere una breve nota biografica sull'Autore tratta dalla Enciclopedia Treccani on line:

Jua Rulfo

Scrittore messicano (Apulco, Jalisco, 1917? - Città di Messico 1986). Assai legato alla storia aspra e dolorosa del suo paese, tra i maggiori esponenti del cosiddetto realismo magico, è soprattutto noto per i racconti de El llano en llamas (1953; trad. it. La morte al Messico, 1963) e per il romanzo Pedro Páramo (1955; trad. it. 1960). Premio nazionale di letteratura messicana (1970), ha avuto notevole influenza su altri scrittori ispano-americani, tra cui soprattutto G. García Márquez.


sabato 13 settembre 2025

Gabriel Garcìa Màrquez

Notizia di un sequestro 

I romanzi di Màrquez che ho fin qui tentato di comprendere per il tramite dello strumento "analisi del testo", e peraltro per mero "diletto", non essendo lo scrivente né un "accademico", né un letterato né altro che un cultore di letteratura, senza che le mie preferenze siano dettate, in termini di opere di vòlta in vòlta considrate e analizzate, da altro che dal valore letterario di ciascuna opera, che anche un mezzo "orbo" a livello di critica, quale è lo scrivente, sia in grado di riconoscere in un testo scritto da altri; dicevo i poc' anzi accennati romanzi chiudono con quest'ultimo la serie di note critiche riguardanti lo stesso Autore. Detta serie ha avuto peraltro un'inizio qualche post più giù trattando dello scritto "L'Amore ai tempi del colera". La domanda che un lettore non estemporaneo potrebbe porsi e magari idealmente porre al redattore di queste note, cioè a me medesimo, sarebbe la ragione di queste ripetute sintesi "critiche". E la risposta non può essere che scrivere di un libro amato può dimostrarsi utile al fine di rendere più chiari e comprensibili innanzitutto al lettore/commentatore del suddetto romanzo e in secondo momento ai pochi lettori che potrebbero "incontrare" questa recensione o presenti su questo sito navigando in rete, le note "critiche" che pian piano si vengono qui accumulando. Ed anche e soprattutto perché ciò che vado commentando mi lasci un qualcosa, quale può essere il ricordo di una frase ad effetto piuttosto che una cironlocuzione, una figura retorica piuttosto che un falsh back cronologico, e tanto altro ancora.

Detto ciò quale premessa del presente scritto, e avendo, si spera, adeguatamente chiarito l'intento che mi muove nel proseguire nella scrittura di questa recensione, passerei senz'altro a commentare lo scritto di Màrquez.

Siamo nei primi anni '90, in Colombia. Il traffico della droga, che circola abbondantemente nel Paese, viene rigidamente tenuto in pugno da più organizzazioni paramilitari dette "cartelli", tra cui il più violento e potente è quello capeggiato da Pablo Escobar, un criminale di alta levatura che utilizza la droga e i sequestri, nonché i feroci attentati, individuali e collettivi, tutti involgenti persone in qualche modo vicine al regime militare che è in auge da un cinquantennio, che Escobar vuole trasformare attraverso i già detti mezzi, in una democrazia. In questi caratteri, mi si lasci dire, Escobar è molto vicino a personaggi che mi permetto di considerare della stessa "levatura" storica, e penso a Bolìvar, come a Castro o al Che Guevara. Escobar è simile ai personaggi elencati ma ha molte qualità che ai suddetti personaggi mancano. Escobar è un feroce assassinio, ma con metodo, paranoico e quindi non "fanatico"; calcolatore e quindi in grado di giudicare sé stesso in maniera da non cedere alle lusinghe del potere; spregiudicato ma solo quando ritiene di essere "alle strette" e cioè "privo di alternativa".

Con "volo pindarico" che non mi sento di omettere, il personaggio in questione potrebbe essere confrontato anche con il Pugacev di puskiniana memoria, però meno sanguinario e senza eccedere nei massacri di un potere assoluto, insomma capace di darsi una misura anche nell'esercitare la violenza "politica".

Ho citato Fidel Castro e Che Guevara altresì per accostare il modo di combattere in battaglia di questi personaggi, che è simile a quello di Escobar ma solo nei modi e non per lo "scenario di riferimento" che per i primi due è la periferia dei villaggi in cui proliferano pestilenza e povertà, mentre per Escobar è la vita delle grandi città della Colombia e non solo Bogotà ma anche Medellìn, e altre che Escobar elegge a terreno dello scontro attraverso l'uso di armi moderne in maniera moderna: viene alla mente ad esempio la pratica di "minare" interi edifici o piazzare tonnellate di tritolo sotto una strada di pubblico transito, come anche in Italia accadde e nella stessa epoca in cui il romanzo in parola è ambientato. Ovviamente il lettore ricorderà la truculenza delle morti di Falcone e Borsellino.

Ma quali sono davvero i motivi che portano Escobar a scegliere con ogni mezzo, persino rendendo lecita la circonvezione dei bambini, non diverso in questo dal vecchio Arafat, il capo ormai defunto dell'OLP, per raggiungere i propri scopi? Escobar vuole e fortemente "vuole" che il Governo militare che detiene il potere nel Paese venga sostituito da un Governo democratico; in secondo luogo che vengano aboliti i provvedimenti di estradizione nei confronti degli oppositori politici, cioè di espulsione dal territorio del Paese degli indesiderati, cioè di gente simile a Escobar, il quale beninteso non è divenuto un criminale politico per "scelta" ma per "necessità"; in terzo luogo Escobar invoca sulla base sempre, va detto, di atti di violenza su vittime spesso inermi, la adozione da parte del Governo di un provvedimento di "indulto" a favore dei reclusi maggiormente penalizzati e una maggiore umamità da parte dei loro carcerieri.

Propagandando con forza ed efficacia gli ideali per cui combatte, l'imprendibile Escobar, un po' come all'epoca, se mi è concesso dirlo, facevano anche le "nostre" BR, invia messaggi radio o televisivi o diffusi grazie alla stampa favorevole alle sue posizioni, e fa tutto ciò quando ritiene necessaria la fattibilità di una trattativa con lo Stato su un piede di parità. Gran parte del romanzo è incentrata proprio sul sequestro di gente vicina al potere, ossia la vita da reclusi di alcuni giornalisti fedeli alla dittatura che, nonostante "pene" indicibili e la morte di una componente del gruppo dei sequestrati, verranno alfine restituiti ai propri cari.

Quale fine possiamo immaginare a un romanzo come questo? Innanzitutto, e ciò si intuisce nelle ultime battute, Escobar ha così tanti lutti sulla coscienza che, lo sa benissimo, senza una trattativa nei confronti dello Stato, la sua vita, ancora a 41 anni, al culmine della virilità per qualsiasi uomo, sarebbe destinata a un lento e tortuoso decadimento e gli anni da vivere, rinserrato in un carcere di "massima sicurezza", rimarrebbero davvero "pochi". E allora una trattiva "personale" con il Governo, e a beneficio della pace nel Paese viene in primo tempo accettata dal Presidente in carica, ma poi più saggiamente affidata ad un uomo di Chiesa, il Reverendo e uomo di spettacolo, cioè "predicatore televisivo" molto noto nel Paese, conosciuto come Padre Herrero. La situazione infine trova così uno sbocco.

Un'ultima considerazione che conviene fare è relativa alla differenza tra le consuetudini amorose diffuse all'epoca in cui si svologono le vicende dell'opera in commento e quelle che erano in voga negli anni '30 del secolo scorso. Cito testualmente: "L'amore cominciava ad allontanarsi dai bolero, erano finite letterine profumate rimaste in voga per 4 secoli, le serenate col nodo in gola, i monogrammi sui fazzoletti, il linguaggio dei fiori, i cinema deserti nel primo pomeriggio; la gente era già stata "convertita" allo spregio della morte e alla follia per i Beatles."

Per concludere in sintesi, il romanzo si chiude con un lieto fine. I giornalisti sequestrati fanno ritorno tra i propri cari, Escobar si fa costruire dal Governo, ormai divenuto Governo democratico e non più militare, un carcere di lusso spendendo i denari guadagnati col narcotraffico, ma fugge anche da lì. Viene riacciuffato e mette la testa a "posto" persino lui. Tutto è bene ciò che finisce bene. Alla prossima!

giovedì 11 settembre 2025


 Gabriel Garcìa Màrquez

L'autunno del patriarca

Il lavoro di cui offro un commento al lettore costituisce senz'altro una delle opere più "complesse" e "difficili" dell'intera produzione dell' Autore, o per il meno della parte che ho avuto modo di leggere e commentare finora anche negli articoli che precedono in questo blog.

La domanda essenziale di conoscenza da porsi per comprendere ed anche per svolgere analiticamente ciò che costituisce la "sostanza" dello scritto di cui parlo può trovare risposta ragionando su sei punti:

  1. la struttura fondamentale;
  2. i registri linguistici che vengono spesso modulati nel corso della narrazione;
  3. il messaggio che l'opera, voluto o non voluto dall' Autore trasmette al lettore;
  4. l'epopea universale dei popoli latino americani che viene raccontata analizzando le vicende di un unico personaggio, ossia un dittatore di un imprecisato distretto della Colombia;
  5. il racconto di un Paese, o per meglio dire di un Continente attraverso la descrizione del rapporto del Potere con chi detiene il potere.
  6. Universalità dei moventi ultimi che muovono i dittatori, i quali sono perfettamente coincidenti con i moventi che dirigono la vita dei comuni esseri umani.
Cominciamo con l'analizzare la struttura del discorso, la quale si compone di tre "narratori", ciascuno identificabile dall'uso dei tempi verbali: il primo che racconta sempre utilizzando il presente indicativo; il secondo ultilizzando l'imperfetto; il terzo utilizzando il futuro. Ciò che apparentemente avviene in maniera casuale è anche l'uso della prima della seconda e della terza persona singolare Perché mescolare i tempi verbali e i pronomi personali in questo modo come anche, bisogna dire, l'uso dei segni di punteggiatura, che non sempre ottemperano alle regole di ortografia? Probabilmente perché i tempi utilizzati sono funzionali a trasmettere al lettore lo stesso flusso interiore di pensiero dei personaggi secondo quel modello di stile inaugurato nei primi anni del '900 dall' inglese Virginia Woolf, e denominato "stream of consciousness", modello di scrittura di cui la scrittrice in parola è il primo esponente, pur essendo forse meno conosciuta dell'irlandese James Joyce, autore del celeberrimo "Ulysses", opera nella quale il meccanismo del "flusso di coscienza" raggiunge il massimo sviluppo dando luogo, a parere di chi scrive, ma soprattutto della più diffusa e accettata "critica letteraria" e quindi assolutamente "non solo di chi scrive", ad un'opera "universale". Sia quindi per quei tempi sia per i nostri, dato anche che ancora oggi esistono scrittori che ne fanno largo uso, tra i quali Màrquez spicca per originalità sebbene ve ne siano altri, come vedremo nei prossimi articoli.
Per continuare nell'analisi dei "registri linguistici" di volta in volta utilizzati dal narratore, bisogna innanzitutto porre mente al fatto che il tono del linguaggio muta in corrispondenza dei mutamenti che si verificano nella psiche dei personaggi, i quali il più delle volte vengono raccontati in terza persona; ma volte accade che un pensiero o una parola che si vorrebbe fosse detta dal narratore, viene lasciata invece alla libera iniziativa di uno dei personaggi, ciò peraltro "intenzionalmente", ossia per conferire vividezza alla narrazione attraverso le voci di persone che ovviamente non esistono ma che potrebbero esistere in quanto "verosimili", e che se davvero fossero reali probabilmente direbbero nelle stesse occasioni le stesse cose, sebbene probabilmente con parole differenti.
Quanto al terzo punto considerato, occorre interrogarsi sul tipo di messaggio che l'opera in parole riesce a trasmettere al lettore. Spesso dinanzi ad un'opera d'arte un'osservatore poco attento puntualizza la propria attenzione sul "messaggio" che un'opera, in questo caso di "letteratrua in prosa" dovrebbe comunicare in qualche modo. Forse l'interrogativo può essere opportuno nel lavoro di scrittura di cui ci occupiamo. Il messaggio è a mio avviso quello di tante opere a tematica "affine" all'opera in discorso, cioè l'essenza del "potere" come concetto e il modo di colui il quale ne è investito, di rapportarsi con l'esercizio del potere.
Il concetto di "potere" dà anche ragione del resto dell'opera, cioè costituisce il perno attorno cui si fissano le vicende umane, o per il meno le vicende del popolo sottomesso al potere, nei rapporti Popolo/Potere, secondo una serie di episodi che non possono, anche se soltanto di quando in quando, non essere crudi o peggio ancora "sanguinolenti". Ovviamente coloro i quali sottostanno all'esercizio del potere di un dittatore sudamericano sono tra coloro che, a in termini "caratteriali"nel senso di "caratteri popolari", sono portati per indole e per educazione, ad essere "proni" e del tutto "asserviti" al cospetto di chiunque rappresenti il potere costituito, il quale spesso è  detenuto da un "regime militare" e anche se si tratta non di una giunta militare, ma di un unico individuo, in tutto simile al "patriarca" di cui nel titolo dello scritto di Màrquez. Si giustificano in questo modo, agli occhi del narratore, che non dimentichiamolo, è uno dei padri del "realismo magico", corrente letteraria nata nella seconda metà del secolo scorso, i tanti eccessi cui l'esercizio del potere condanna chi lo esercita. Allora si verifica ad esempio la morte per squartamento di un malato di "mal sottile" che si permette di criticare l'autorità del "patriarca". Oppure l'assassinio di un generale infedele che viene letteralmente ucciso e servito cotto a puntino in occasione di un pranzo di gala. Tra gli episodi disdicevoli c'è anche l'uccisione in massa di un nugolo di bambini rimasti senza genitori che cercano di lasciare a nuoto e disperati, il luogo in cui si esercita l'autorità del dittatore.
Altri eccessi hanno invece un carattere indiscutibilmente "positivo", e penso all'iniziativa, sempre da parte del dittatore in questione, di santificare la propria madre mentre costei è ancora in "vita"; oppure la trovata, che richiama, mi permetterei di dire, anche "trascorsi italiani", di svellere tutti gli alberi delle regione per evitare che cresca il numero di suicidi per impiccagione.
Vediamo però se, come detto, le vicende che riguardano un singolo dittatore, non meglio specificato, e volutamente tenuto nell'ombra in quanto costiuisce un "simbolo", un qualcosa che interessa massimamente l'intero "subcontinente", dal Messico alla Patagonia, possano essere considerate rappresentative del rapporto del singolo individuo, per intenderci "l'uomo della strada", col potere. Vero è, come abbiamo detto, che in primo luogo le giunte militari al potere sono nei luoghi in discorso quasi un elemento del "paesaggio", tuttavia "non durano". Un governo imposto con la forza, come ad esempio il Cile di Pinochet, è per converso facilmente soggetto ad una forte instabilità, per sottrarsi alla quale alcuni dei Paesi sudamericani, come il poc'anzi citato Cile, ma anche se si vuole l'Argentina, invocano "aiuti per la stabilità" da parte degli Stati dell'America del Nord, due su tutti: USA e Canada. In altre parole affinché non vi siano ripetuti rivolgimenti politici che sostituiscono una ditttura ad un'altra senza che il popolo interessato ne benefici, si domanda da parte di alcuni governi una maggiore stabilità e governabilità, ovviamente al prezzo che i sistemi economici dei Paesi in questione rimangano, quale contropartita alla stabilità garantita da altri, soggiogati alle direttive imposte dai già citati Paesi del Nord. 
In chiusura a questa breve nota, occorre sviluppare il punto 6, cioè dare la prova che Màrquez è spesso un dichiarato "fatalista", come d'altra parte molti dei suoi connazionali. Come anticipato egli ritiene che le cause ultime dell'agire umano siano sempre le stesse, al di là del rango sociale. Le cause di cui parliamo vengono pian piano alla luce nel corso del romanzo secondo ben definiti episodi. In particolare il dittatore del romanzo, durante una notte insonne, incontra presso uno specchio d'acqua una donna che sta facendo un bagno. Abbacinato dalla nudità delle forme della donna in questione, il dittatore ne fa la propria concubina. Quest'ultima si dimostra così abile nel cornificare il "convivente" che diviene di fatto, e per un certo tempo grazie alla capacità di intessere "tresche di palazzo", la vera detentrice del potere. Ora: può un dittatore perdere la propria tempra morale a causa di una donna? Si, può, e la ragione è che potrebbe accadere a qualsiasi uomo, non necessariamente un dittatore.
Sempre in ottemperanza al proposito di sviluppare il punto sei della presente nota critica, va senz'altro citato l'episodio incui il dittatore incontra la Signora Morte, e le rimprovera di essere giunta presso di lui in un momento inaspettato. La Morte da parte Sua rintuzza le lamentele dell'uomo assicurandogli che l'ora è davvero giunta. Il dittatore "vita natural durante", scompare quindi dalla scene non in una congiura di palazzo o a causa delle malìe di una "poco di buono" ma molto "naturalmente", come sempre o quasi accade anche agli uomini e le donne comuni, "di vecchiaia".

Appendice
Per meglio chiarire al lettore, qualora ve ne fosse necessità seguono due note biografiche dei nominati scrittori Virginia Woolf e James Joyce.


Virginia Woolf
Scrittrice inglese (n. Londra 1882 - m. suicida nel fiume Ouse 1941). Prestigiosa rappresentante del Bloomsbury Group, fu scrittrice, saggista e critica di forte personalità, che emerse anche nel suo impegno libertario e a volte fuori dagli schemi a favore dei diritti civili e della parità tra i sessi. Tra le sue opere Mrs. Dalloway (1925; trad. it. 1946) eTo the lighthouse (1927; trad. it. 1934) sono forse i suoi capolavori.
Figlia del critico letterario sir Leslie Stephen e di Julia Prinsep Jackson, ricevette dai genitori un'ottima educazione umanistica. Quando era ancora adolescente il dover affrontare il dolore per la morte della madre scatenò in lei i primi disturbi psichici, che l'avrebbero accompagnata per tutta la vita fino alla sua tragica scomparsa. Sposò nel 1912 Leonard S. W., con il quale diresse una casa editrice londinese (The Hogarth Press). Nella loro abitazione, presso il British Museum, si riuniva il gruppo di intellettuali chiamato Bloomsbury group. I due primi romanzi, The voyage out (1915; trad. it. 1951) e Night and day (1919; trad. it. 1957), la mostrano già in possesso di raffinati mezzi espressivi, ma non si distaccano dalla tecnica narrativa tradizionale. Formatasi sotto il duplice influsso del razionalismo, grazie al padre che era studioso del Settecento, e dell'estetismo, la W. andò elaborando l'intenzione d'invertire il procedimento narrativo: non più personaggi fatti vivere attraverso azioni, ma effetto della realtà esteriore sulla coscienza e sullo spirito. Questo radicale mutamento apparve in forma sempre più chiara e dominante nelle opere narrative che seguirono: Jacob's room (1922; trad. it. 1950); Mrs. Dalloway  (1925); To the lighthouse (1927); Orlando (1928; trad. it. 1933); The waves (1931; trad. it. 1956); The years (1937; trad. it. 1955); Between the acts (1941; trad. it. 1979). Oltre a due biografie: Flush (1933; trad. it. 1934; biografia del cane di Elizabeth Barret Browning) e Roger Fry (1940), pubblicò raccolte di notevolissimi saggi critici: A room of one's own (1929); The common reader (due serie, rispettivamente 1925 e 1932). Postumi sono apparsi: una raccolta di novelle, A haunted house (1943; trad. it. 1950), che aggiunge inediti a una raccolta pubblicata prima dei romanzi col titolo Monday or Tuesday, e volumi di saggi vari, in parte critici; Death of the moth (1942), The moment (1947), The Captain's death bed (1950), tutti a cura del marito, che pubblicò anche estratti dai diari nel volume A writer's diary (1953). Autrice di opere che occupano un posto cospicuo nella narrativa sperimentale della prima metà del Novecento, la W. fu delicata indagatrice di moti dello spirito, ma con temperamento di fondo lirico; i suoi libri, scritti in bellissima prosa, tendono a formare un disegno musicale e i suoi squisiti personaggi femminili, per quanto sottilmente trasposti, sono quasi sempre autoritratti.

James Joyce
Scrittore irlandese (Dublino 1882 - Zurigo 1941). Tra i massimi autori del Novecento, dopo una prima fase in cui la sua scrittura evolve in stretta aderenza ai canoni espressivi tradizionali della prosa narrativa, animata - come magistralmente attesta la raccolta di racconti Dubliners (1914; trad. it. Gente di Dublino, 1933) - dai temi della stagnazione e dell'inettitudine umana al vivere, si allontana da ogni convenzione formale e logica con Ulysses (trad. it. 1960), il romanzo che forse più ha inciso sulla storia della letteratura europea contemporanea. Qui, lasciate liberamente fluire le costellazioni interiori del pensiero prima che esso si faccia parola - in ciò valendosi anche dei primi portati teorici della nascente psicanalisi - , J. rifonda il genere del romanzo facendovi assurgere a imprescindibile presenza l'individualità dell'orizzonte psichico umano colto all'interno della estraniante realtà del quotidiano; tale prospettiva troverà una sua quasi fisiologica estremizzazione in Finnegans wake (1939; trad. it. di Frammenti scelti nel 3º vol. di Tutte le opere di J. J., 1961; dei primi quattro capp., 1982), opera in cui echeggia, atomizzata, tutta la cultura occidentale, e che sfugge a ogni possibile classificazione critica.


martedì 9 settembre 2025

 Gabriel Garcìa Màrquez

Il generale nel suo labirinto

Motivo centrale dell'intera opera in commento è il racconto romanzato, quindi non una semplice cronaca ma piuttosto una biografia poetica, di un personaggio che a distanza di circa due secoli viene oggi unanimemente considerato un' Eroe latino americano, il quale  ottenne gloria e onore nel periodo delle lotte, da parte dei popoli del Sudamerica contro il dominio coloniale e lo sfruttamento degli autoctoni da parte degli europei e più di tutti degli odiati spagnoli; in definitiva per porre fine ad una odiosa e ingiusta dominazione. Il personaggio in questione è Simòn Bolìvar, da tutti ricordato, anche dalla storiografia ufficiale, come "El Libertador".

Per analizzare bene e proficuamente lo scritto in commento, senza però tediare il lettore, sarà opportuna una "breve" nota critica. Il testo in commento, intuitivamente, somiglia per alcuni tratti al romanzo psicologico, che mi pare ricorra spesso nelle opere di Màrquez, che lo scritto sia massimamente centrato sulla narrazione degli aspetti intimi, quelli per intenderci che non attengono alla storia ufficiale del personaggio né alle grandi imprese della gioventù di questi, ma che invece consentono di sondarne, sempre in una prospettiva intrinseca, l'atteggiamento spirituale che soggiace al quotidiano lottare contro sé stesso per non "morire" e per andare avanti, mentre l'età avanza. Ovviamente e come detto anche il contesto della narrazione non attiene alla gioventù del personaggio ma soltanto ai suoi ultimi anni di vita. Lo scenario ove si raccontano le minuzie della vita quotidiana dell'eroe è collocato nel periodo della sua vita, nel quale l'impero che egli aveva costruito iniziava a dare segni di cedimento, a sgretolarsi, senza che il suo fondatore, cioè il protagonista del romanzo, potesse di fatto evitare un tale esito, sia in ragione dei propri malanni fisici, sia in ragione della propria decadenza e debolezza morale, la quale più degli acciacchi dell'età, pian piano uccide, oltre che coloro i quali ne sono naturalmente colpiti, come accade a molti, soprattutto coloro che ne vengono distrutti sul piano di quella forza morale che si pone come "essenziale" onde perseguire i propri ideali, ideali ovviamente non comuni, cioè il tipo di ideali cui venga dedicata un' intera esistenza e necessariamente anche la propria morte, in quanto gli ideali di cui si parla possono realizzarsi soprattutto, se non soltanto, attraverso la guerra e le sue "conseguenze", cioè la miseria e la morte che la stessa guerra, per propria natura e anche se animata da una giusta causa, porta immancabilmente con sé. Abbiamo detto che l'eccezionalità dell'esistenza di Bolìvar, oltre che nell'attività e nelle vesti di condottiero e di uomo politco, è anche nella maniera di confrontarsi con l'imminente fine, presagita dai molti malanni fisici che lo affliggono, ma anche nel modo che il protagonista adotta per confrontarsi con essi mali lottando, e magari per riuscire nuovamente vittorioso, come nelle tante battaglie vinte sul campo, contro il lento decadimento della "energia virile" in un uomo che per gran parte della vita ha fatto dell'essere "capo", e quindi responsabile della vita e della morte di interi eserciti, il motivo di ogni propria decisione. Soprattutto Màrquez indaga quale possa essere un "certo" tipo di esistenza che, a parte la storia particolare del personaggio Bolìvar, che peraltro non viene quasi mai nominato nel romanzo col proprio nome di nascita ma solo come "il generale", ciò a dire di ciò che Màrquez non dice ma che è facile intuire, potrebbe in qualche modo essere considerata "molto" più umana e quindi "universale" di quanto non apppaia a chi voglia considerarla soltanto estrinsecamente, cioè dal punto di vista della "storiografia ufficiale". Dunque genere di esistenza, piuttosto che individualità irripetibile di una storia personale irripetibile, esistenza sulla quale pesano come macigni quelle stesse decisioni, che un qualsiasi generale è tenuto ad adottare, soprattutto nel corso di una guerra, e fino a quando la guerra prosegua nel tempo, ciò che richiede una saldezza di nervi ed una tempra caratteriale che inevitabilmente vengono meno con l'età. E' dunque per questo che il racconto di Màrquez ha ad oggetto la parte finale della vita del condottiero, ed è forse per idealizzare una serie di tratti che sono stati, nella storia militare come in quella universale, propri di tutti i grandi condottieri, e penso a Napoleone, cui peraltro nel romanzo viene a volte simpaticamente accostato il protagonista, da parte magari di qualche donna che lo conosce meglio di quanto lo conoscano coloro che lo circondano per "amicizia" ma anche per "dovere", cioè i più stretti compagni di battaglia. 

Per consentire al lettore un confronto tra la lettura del romanzo, e la storia ufficiale converrà, così mi pare, riportare una biografia essenziale sul personaggio in discussione. La breve nota biografica è tratta dall'Enciclopedia Treccani on line.

Sìmon Bolìvar

Patriota, liberatore dell'America spagnola (Caracas 1783 - San Pedro Alessandrino, Santa Marta, 1830). Terminò i suoi studî in Europa. Tornato in America, scoppiata nell'aprile 1810 la rivoluzione antispagnola, B. fu inviato dalla Giunta rivoluzionaria delegato a Londra, per ottenere la mediazione inglese. Fallita la missione, proclamato il Venezuela indipendente (5 luglio 1811), l'anno successivo, dopo la riconquista spagnola del paese, dovette rifugiarsi nella Nuova Granada e - a capo delle truppe di questa - invase il Venezuela liberandolo definitivamente dalla Spagna (1813). Dittatore (libertador) del Venezuela (1814), il suo potere subì frequenti eclissi: dinanzi alle forze del realista J. T. Boves dovette riparare nuovamente nella Nuova Granada, poi, per contrasti politici, in Giamaica e in Haiti. Tornato nel 1817, organizzò la repubblica venezuelana e, da allora, la sua azione fu un susseguirsi di successi: liberò la regione di Bogotá e coi territorî del Venezuela, della Nuova Granada e dell'Ecuador creò la repubblica della Grande Colombia, di cui fu nominato presidente (17 dic. 1819). Assicurata definitivamente l'indipendenza del Venezuela (vittoria di Carabobo, 21 giugno 1821), l'anno successivo cacciava gli Spagnoli dall'Ecuador, poi, in collaborazione con J. de San Martín, dal Perù e dall'Alto Perù, che, dichiaratosi il 6 ag. 1825 indipendente col nome di Repubblica Bolívar, poi mutato in quello di Bolivia, proclamò presidente il suo liberatore. Propostosi il disegno di una federazione del Perù, della Colombia e della Bolivia, incontrò aspre resistenze e, per un attentato (1828), fu costretto a fuggire da Bogotá; nel 1829 impose con le armi al Perù la frontiera, e il Venezuela si staccò dalla Colombia. Abbandonata allora ogni carica (20 gennaio 1830), passò a Cartagena; qui lo raggiunse la notizia di un moto a lui favorevole e del suo richiamo, ma sulla via del ritorno morì.


sabato 6 settembre 2025


 Gabriel Garcìa Màrquez

Dell'amore e di altri demoni

Il romanzo in parola ha il pregio di contenere in sé l'intero universo di Màrquez e cioè la struttura sociale di epoca Sei/Settecentesca, con i suoi ammennicoli e recessi, quale essa era nell'America latina dell'epoca in cui l'Autore la descrive. Ma la caratteristica saliente che è anzi la più rilevante in questo romanzo è, a differenza che in altri capolavori dell'Autore, il coacervo di umanità rutilante, dignitosa benché priva di mezzi, benchè priva di restrizioni morali, ad esempio in materia di sesso, e tale Umanità fa da cornice agli avvenimenti, non non prendedovi perciò parte attiva, ma perché definitivamente, sebbene impersonalmente determina le vicende che pian piano si dipanano sotto gli occhi di un lettore che, se a digiuno di qualche lettura sui problemi sociali del Sud America da Colombo in poi, potrebbe rilevare un procedere confuso, un'andirivieni di quadri narrativi che spesso discordano l'uno dall'altro, insomma qualcosa senz'altro potente, di immagini, di colori, di espedienti; ma povero di trama, e anche molto distante da altri lavori. 

Ma come si è accennato, la realtà piacevole, il cui tepore decadente favorisce gli appetiti, non solo quelli di pancia, ma anche altri di meno nobile natura e tuttavia così invitante, nasconde orrori come l'incesto, la follia, le irreparabili crisi spirituali e l'esclusione sociale. Se però si tiene fede a coloro che, qualche secolo dopo l'epoca che fa da sfondo alla storia di cui si parla in questa breve nota critica, iniziarono a considerare che la cultura europea avesse in qualche modo "squinternato" l'equilibrio dei popoli nativi del Centro Sud America, allora bisogna a mio avviso analizzare la trama del romanzo ponendola a confronto, non dirò con un'affresco, il quale per sua stessa fattura è condannato a disfarsi nel tempo; ma come un'acqua forte, o una sostanziosa "litografia", nella quale è impresso il peccato originale di noi Europei nei riguardi dei nativi. 

Se peccato non vi fosse, o se l'Autore non volesse parlare di questo, allora il romanzo sarebbe a mio avviso strutturato in maniera assai differente, ma non lo è. Si consideri ad esempio il fenomeno della schiavitù, rappresentato per come essa schiavitù era a quei tempi, i tempi che l'Autore racconta, e il giudizio del tutto negativo che oggi si prova e che deriva dal ricordo che di tale infausto mercimonio rimane anche nel sentire dell' "uomo comune". Da come ne parla l'Autore si prova tuttavia la netta sensazione che all'epoca in discorso lo schiavismo fosse niente altro che una fonte di guadagno e che i profittatori di un'organizzazione socio/economica che consentiva tale fenomeno, perché su di esso si sorreggeva, non siano da ravvisare soltanto nei negrieri europei o statunitensi, ma anche negli stessi schiavi, per lo più africani, che a volte, come si legge in un episodio del romanzo, neanche erano accompagnati al "mercato" dai lenoni, perché alcuni di essi schiavi godevano del privilegio di vendersi "da soli" e intascare il prezzo. Ecco: la schiavitù. Ciò che si potrebbe domandare a sé stessi, uomini del terzo millennio, sarebbe se la schiavitù non sia un effetto sempre del peccato originale della colonizzazione delle Americhe da parte di noi uomini europei in altri tempi e in altre epoche.

Tralasciando di considerare la schiavitù quale piaga sociale direttamente ricollegabile alla scoperta delle Indie Occidentali, altra domanda che appare legittima è da un lato il concetto di "missione cristiana", sempre in America latina; dall'altro il concetto di esclusione sociale, elementi di forte destabilizzazione del consesso umano e delle proprie regole, cioè delle regole consuetamente osservate che furono dapprima cancellate e successivamente sostituite da altre ad opera dei coloni occidentali. In primo luogo scopo delle missioni cristiane in quei luoghi fu sempre dal lato attivo, quello di inviare "altrove" ecclesiastici e suore non eccessivamente graditi presso la Corte papale e per i più vari motivi; altro motivo, meno incidente, fu quello di diffondere in quei posti "dimenticati da Dio" il messaggio evangelico e conseguentemente il modo di condurre la vita che è tipico di noi Cristiani. Per quanto invece riguarda il concetto di esclusione sociale, le vicende che si dipanano nel romanzo, che come detto più su, parla di schiavitù ma lo fa con naturalezza; di monachesimo, ma con rassegnazione; di esclusione sociale ma come se tale fenomeno fosse perfettamente naturale, fondano l'esclusione sociale su una base di conoscenze scientifiche e tecnologiche che rendevano noi europei non tanto turpi da fare strage di nativi, quanto piuttosto di causarne la morte per malattia. Tutto ciò semplicemente negando agli indigeni -  facili prede di malattie gravemente disabilitanti, diffuse dai coloni europei, e che se non combattute per tempo, potevano essere addirittura letali - ogni possibile cura, come ad esempio per il "colera". Ovviamente la tecnica di scrittura che l'Autore usa è tale da spingere all'indietro le lancette di un'ideale orologio per collocare le brutture ovattate in un tempo /non tempo, nel modo di una fiaba per bambini che, se anche a tratti può spaventare, ha comunque un lieto fine pur essendo priva di un messaggio morale da trasmettere al lettore. Màrquez fa proprio questo: racconta in maniera fiabesca ciò che, altrimenti, ad esempio se la storia di cui qui si parla fosse una semplice "cronaca", lascerebbe al termine della lettura, "con l'amaro in bocca". Il fine cui la storia giunge tuttavia, non può essere considerato quanto meno "sereno" come lo è per il Florentino Ariza di "Amore ai tempi del colera", che nelle battute finali si fa beffe della vecchiaia perché ha trovato l'amore; ma intriso di un che di malsano, che inorridisce e che non può concretarsi in una semplice battuta di spirito in quanto gli eventi narrati non lo consentono. Così l'amore tormentato tra il novizio Caijetano Adaura e l'educanda lentamente portata alla morte, cioè Sierva Maria, la ragazzina che le gerarchie cattoliche del posto considerano "posseduta" da un demonio solo perché "è una donna libera", non è coronato da un' onesto matrimonio a causa delle rimostranze del padre di lei, il Marchese, ed anche delle suore del convento che si oppongono fermamente a riconoscere che al di là di ogni apparenza, la signorina Maria è perfettamente sana di mente. 

E' un romanzo pessimistico, questo di Màrquez, un romanzo nel quale il "suo mondo", il mondo dell' Autore, piange le proprie piaghe per essere stato internamente reso "schiavo" da parte di popoli che del colonialismo non hanno mai fatto strumento di progresso sociale, ma al contrario di sottomissione e sfruttamento. I guai di cui Adaura parla col medico ebreo, ossia i guai dell'infelice Maria, sono originati da un tale guazzabuglio di credenze che tanto non battono il chiodo, fin quando non divengono necessarie per tuelare l'ordine sociale. A questo proposito lo Scrittore parla di rimedi spirituali, come possono essere gli esorcismi; rimedi medici, come la cucitura alla caviglia per scongiurare che Maria contragga la rabbia; rimedi pagani, come le molte fatture e altri primitivi intrugli che vengono applicati alla ragazza dagli schiavi negri che abitano nella casa paterna, e così via. 

In rapporto all'epoca attuale e volgendo lo sguardo alla situazione dei luoghi che Màrquez ci racconta, alla loro situazione presente, ciò che coglie lo stupore di noi occidentali, è sempre la stessa congerie di elementi, che se non sono la esatta riproduzione di quelli descritti nel romanzo, ne sono tuttavia una perfetta evoluzione.

Ovviamente un tributo a Màrquez è d'obbligo. Ciò in cui questo scrittore è Maestro assoluto, un po' come lo era il Nostro Sergio Leone nei suoi lungometraggi, è coprire di uno smalto dorato e fiabesco un' inferno sociale che deriva dalla commistione violenta e priva di regole tra popoli e culture le più diverse, un contesto che ripugnerebbe anche all'ultimo dei cronisti, se questi dovesse raccontarlo per come è. Ma d'altra parte mi pare di poter dire che pochi sono coloro che riescono a sognare il Paradiso mentre intorno brucia un Inferno. Màrquez dimostra di saperlo fare, in questo più che in altri lavori, e più di quasi tutti coloro che scrivono per professione.

venerdì 5 settembre 2025

 Garcìa Màrquez

L'Amore a i tempi del colera

Quella che sto per commentare al lettore è una delle maggiori opere scritte dall'autore di cui trattasi nella presente appendice critica. Mi pare superfluo dire, soprattutto per chi abbia conoscenza anche di altri lavori di Garcìa Màrquez, che lo scritto in parola rappresenta insieme sia un inno all'Umanità, intesa quest'ultima come Storia e procedere di uomini e di generazioni, e qundi di vita, individuale, collettiva ma pur sempre uguale a sé stessa; sia all'umanità in certo senso particolare, non ovviamente per qualità ma per quantità, che l'autore ha avuto in sorte  di conoscere da vicino e alle sempiterne vicissitudini di quella (amore, morte, tradimento, ma anche "quotidianità", mediocrità, basse passioni, crimini, peccati, come la frequentazione delle prostitute). Ma l'opera letteraria di cui parlo è anche un ritratto della società ("alta" e "bassa") che si può ritrovare, senza tema di errore, e sebbene il romanzo sia ambientato nei primissimi anni dello scorso secolo, anche nelle realtà odierne dei Paesi Latinoamericani, e non solo nel Caribe, dove il racconto si svolge per la gran parte. Non che da questo punto di vista sia cambiato molto da quell'epoca ad oggi, quanto meno dal punto di vista del "carattere" dei Popoli che Màrquez racconta.

La prosa di Màrquez è quanto di più vicino alla "lirica", quindi ad un genere poetico che risale all'apice della Letteratura greca, còlta in un' epoca di irripetibile splendore nelle arti come nelle scienze, come nella politica.

La trama è quella classica del romanzo d'amore e quindi è composta come vuole la tradizione, secondo modelli che si ripetono, ma ovviamente intessuta con la padronanza di un virtuoso di pianoforte, abile nel tessere le trame romantiche ma ancor più nel non concedere che del romanzo si possa intuìre la fine, come invece accade con autori e autrici meno scaltri o meno capaci di molti romanzi dello stesso genere.

Perché ambientare un romanzo d'amore agli inizi del '900 nel Caribe dei giorni del colera?

Qui viene per similitudine alla mente la Psicanalisi freudiana, tra i cui assunti fondanti è la dualità Amore/Morte, come moventi del vivere stesso degli uomini e delle collettività sociali. Cosa sosteneva Freud a proposito di Amore e Morte? Che di Amore si può ammalarsi, e che ovviamente di Morte si può morire. Evidentemente tutto ciò, detto in questi termini è un'ovvietà. Tuttavia se si riflette a fondo sul romanzo e su quali vicissitudini in esso prendono forma, certamente si giungerà alla conclsione che c'è modo e modo d'amare ma anche "modo e modo di morire". Cosa che Freud ha sempre sostenuto, e da cui la sua Scuola di psicanalisi ricava la propria forza innovativa all'interno delle discipline inerenti alla psicologia. A testimoniarlo sono le due figure di protagonisti del racconto e cioè Florentino Ariza e Fermina Daza. Vediamo come: Fermina e Florentino, la prima una educanda, figlia di un mercante di buoi, tale Lorenzo Daza, uomo rude che si è fatto "da solo", ad ogni costo dedito nella vita come negli affari al proprio personale progresso sociale, da realizzare di riflesso anche per mezzo della figli Fermina, per la quale intravvede un avvenire socialmente migliore augurandosi di trovare, e brigando per questo, un ottimo partito cui sposare la diletta figlia. Se non che le intenzioni riguardo all' avvenire di sua figlia da parte di Lorenzo Daza sembrano inizialmente contrastate da un amore adolescenziale da parte di Fermina, per l'umile Florentino Arisa, che però agli occhi del padre è niente altro che un povero telagrafista e quindi un mediocre partito. Insomma a causa di un padre "padrone" che la invia per un certo periodo all'estero allo scopo di farla "rinsavire", Fermina torna a casa senza più ricordare il suo "antico" pretendente, e grazie ai maneggi del padre più che per la propria avvenenza di di forme e di modi, Fermina sposa un medico molto famoso, richiesto e ripettato nell'ambiente cittadino. Il matrimonio dura trent'anni. Prima di allora tuttavia erano accadute un certo numero di cose. Florentino, incapace di accettare il matrimonio combinato, diventa un libertino, frequenta molte donne, anche di colore, o mulatte, e costoro gli si concedono, abbagliate dal suo profondo bisogno d'amore. A nessuna però Florentino confessa il motivo della propria irrequietudine amorosa cioè il ricordo del solo Amore della propria vita: Fermina Daza. Tutto ciò che accade nel romanzo, per quanto profondo, per quanto coinvolgente, per quanto a volte sessualmente esplicito, per quanto commovente, dà l'impressione di una vita che si svolge tra due momenti: l'innamoramento adolescenziale di Florentino e la morte del marito medico di Fermina. Il romanzo racchiude più di quaranta anni di attesa, e quando finalmente il momento tanto atteso, trepidamente e nondimeno serenamente da Florentino, giunge all'orecchio dell'antico pretendente sulla greve musica delle campane a "morto" in onore dell'appena defunto marito di Fermina, Florentino comincia a corteggiare delicatamente la donna da lui sempre amata, come se il tempo per loro si fosse fermato alle prime lettere d'amore, cioè a quarant'anni prima. Nonostante la iniziale scandalizzata ritrosia di Fermina, pian piano il ghiaccio si scioglie, e Florentino, sempre innamoratissimo, e ormai uomo affermato, propone a Fermina un viaggio a bordo di un battello a vapore di proprietà della compagnia di batelli da fiume che a suo tempo Florentino ha ereditato dal proprio zio e che ora lo rende un uomo molto facoltoso. Una volta soli in cabina, tale è il fascino di quel posto, tale il fascino che provano l'uno per l'altra, nonostante negli anni passati, sebbene ognuno per proprio conto, avessero conosciuto altri battelli viaggiando verso altri posti, che Florentino decide di far abbandonare la nave in cui si trova con Fermina da tutti gli altri passeggeri diffondendo una falsa voce su una "improbabile" epidemina di colera che avrebbe colpito la nave. E una volta rimasto il battello tutto e solo per loro due, Florentino conclude il racconto manifestando il proposito di rimanervi a bordo con Fermina, per "tutta la vita".


Gabriel Garcìa Màrquez. La Poetica.

Lo stile letterario e le tematiche.

Gabriel García Márquez fu uno dei quattro scrittori latinoamericani coinvolti per primi nel boom letterario latinoamericano degli anni Sessanta e Settanta; gli altri tre autori erano il peruviano Mario Vargas Llosa, l'argentino Julio Cortázar e il messicano Carlos Fuentes (ad essi è da aggiungersi la figura discostata di Jorge Luis Borges). Sarà Cent'anni di solitudine il romanzo che gli porterà fama internazionale di romanziere del movimento magico-realista della letteratura latinoamericana, che influenzerà gli scrittori di periodi successivi, come Paulo Coelho e Isabel Allende. Egli appartiene alla generazione che recuperò la narrativa fantastica del romanticismo europeo, come quella di E.T.A. Hoffmann, e il romance, lo stile dei poemi lirici, epici e mitologici che andavano di moda fino all'alba del romanzo moderno nel XVIII secolo, quando la particolare mescolanza di reale e invenzione venne relegata nella letteratura del romanzo gotico - dei vari Hoffmann, Walpole, Radcliffe, Shelley, Lewis e Charles Robert Maturin, autore di Melmoth l'errante (si veda la leggenda dell'ebreo errante o quella di Francisco el Hombre, che ricorda vagamente La ballata del vecchio marinaio di Coleridge, citate da Márquez in Cent'anni di solitudine) - o in altri sottogeneri.


Come una metaforica e critica interpretazione della storia colombiana, dalla fondazione allo Stato contemporaneo, Cent'anni di solitudine riporta diversi miti e leggende locali attraverso la storia della famiglia Buendía, i cui membri per il loro spirito avventuroso si collocano entro le cause decisive degli eventi storici della Colombia — come le polemiche del XIX secolo a favore e contro la riforma politica liberale di uno stile di vita coloniale; l'arrivo della ferrovia in una regione montuosa; la Guerra dei mille giorni (Guerra de los Mil Días, 1899–1902); l'egemonia economica della United Fruit Company ("Compagnia bananiera" nel libro); il cinema; l'automobile; e il massacro militare dei lavoratori in sciopero come politica di relazioni fra governo e manodopera. La ripetitività del tempo e dei fatti è appunto il grande tema del romanzo, un tema in cui l'autore riconosce la caratteristica della vita colombiana e attraverso cui vediamo delinearsi altri elementi: l'utilizzo di un "realismo magico" che mostra un microcosmo arcano in cui la linea di demarcazione fra vivi e morti non è più così nitida e in cui ai vivi è dato il dono tragico della chiaroveggenza, il tutto con un messaggio cinicamente drammatico di fondo, di decadenza, nostalgia del passato e titanismo combattivo di personaggi talvolta eroici ma votati alla sconfitta. Il tema del tempo ciclico e del rituale domina anche Ci vediamo in agosto, L’amore ai tempi del colera, Cent’anni di solitudine e Memoria delle mie puttane tristi.


Su questa linea, dopo un inizio nella letteratura realistica di stile hemingwayano, proseguirà tutta l'opera di García Márquez (tranne gli scritti prettamente autobiografici), in equilibrio tra l'allegoria, il reale e il mito, influenzato dalle tematiche surreali dell'"allegorismo vuoto" di Franz Kafka e dal simbolismo. Lo stile presenta notevoli intrecci, digressioni, prolessi e analessi, con l'uso di frasi quasi poetiche nella prosa, un linguaggio ricercato e prosaico alternato a seconda del personaggio, e lo svolgimento di storie "corali" e parallele. Il narratore è spesso esterno e onnisciente, cioè conosce già gli avvenimenti futuri.


Oltre agli autori citati si possono ricordare come fonte di ispirazione: per il contenuto nel tipico stile del realismo magico latinoamericano, l'influenza di numerosi scrittori e autori, tra cui William Faulkner, Sofocle, Herman Melville, Juan Rulfo, Virginia Woolf, Miguel de Cervantes con il suo Don Chisciotte della Mancia, il surrealismo e l'espressionismo; per il linguaggio e la tecnica formale della scuola magico-realista ispanica a cui appartiene l'autore, che oscillano tra crudezza, raffinatezza e involutezza del periodare, si è debitori oltre che a Hemingway, a Graham Greene e, per le parti più ricercate in cui vi è un monologo del narratore privo di dialoghi, allo stile neobarocco-decadente di Joris-Karl Huysmans; ciò per influsso del romanziere peruviano, modernista-ispanoamericano, Ventura García Calderón, ispiratosi a sua volta al citato scrittore francese di A rebours (1884) e a Wilde, nipote di Maturin, specialmente alle parti gotiche del Dorian Gray (1891).


 Il romanzo d'amore. Gabriel Garcìa Màrquez

In questo articolo e nei successivi vorrei accennare al genere "romanzo d'amore", che vede uno dei propri maggiori esponenti in Gabriel Garcìa Marquez. Vorrei altresì trarre a ragione della scelta di commentare "questo autore", e non altri scrittori del genere indicato, il dato che, nonostante la congerie dei romanzi e racconti di genere rosa, presenti sul mercato editoriale da non meno che qualche secolo, sempre Garcia Marquez è generalmente considerato il più rappresentativo del tipo di letteratura che vorrei in qualche modo descrivere e assoggettare a critica.

Dopo aver accennato brevemente alla vita e alla formazione della poetica dell' autore in questione, passerò alla critica di un buon numero di sue opere, numero che mi pare sufficiente per elaborare un giudizio personale, se mi è concesso, sulla "importanza" dell'autore sia nel contesto letterario attuale, sia nella letteratura di genere, sia nella storia della letteratura universale.

Biografia dell'autore


Gabriel García Márquez nacque ad Aracataca, un paesino fluviale della Colombia settentrionale, il 6 marzo 1927 (sebbene venga spesso erroneamente riportato come anno di nascita il 1928), primogenito dei sedici figli del telegrafista Gabriel Eligio Basilio García (1901-1984) e della chiaroveggente Luisa Santiaga Márquez Iguarán (1905-2002). Dopo il trasferimento a Riohacha, il giovane García Márquez crebbe con i nonni materni: il colonnello liberale Nicolás Ricardo Márquez Mejía (1864-1936) e la sua consorte Tranquilina Iguarán Cotes (1863-1947), una grande conoscitrice di fiabe e leggende locali, a detta dello stesso García Márquez d'origine gallega.

Nel 1937, a seguito della morte del nonno avvenuta l'anno precedente, García Márquez si trasferì a Barranquilla per studiare. Dal 1940 frequentò il Colegio San José e si diplomò al Colegio Liceo de Zipaquirá nel 1946. L'anno dopo si trasferì a Bogotà per studiare Giurisprudenza e Scienze politiche presso l'Universidad Nacional de Colombia, ma presto abbandonò lo studio a causa dello scarso interesse che quelle materie suscitarono in lui.

L'inizio dell'attività giornalistica (1948-1961)

Dopo i disordini del 1948 (nel periodo detto La Violencia, culminato con la dittatura di Gustavo Rojas Pinilla nel 1953), in cui nel rogo della pensione in cui abitava bruciarono alcuni suoi scritti, si trasferì a Cartagena de Indias, dove cominciò a lavorare dapprima come redattore e poi come reporter de El Universal. Alla fine del 1949 si trasferì a Barranquilla per lavorare come opinionista e reporter a El Heraldo. Su invito di Álvaro Mutis, nel 1954 García Márquez tornò a Bogotá, a lavorare a El Espectador come reporter e critico cinematografico. L'anno successivo trascorre alcuni mesi a Roma, dapprima come inviato nella città, dove segue dei corsi di regia presso il Centro sperimentale di cinematografia, in seguito si trasferisce a Parigi.

Rapporto con Cuba

Nel 1958, dopo un soggiorno a Londra, García Márquez tornò in Sudamerica, stabilendosi in Venezuela. Nello stesso anno sposa a Barranquilla Mercedes Barcha e, dopo la salita al potere di Fidel Castro, visita Cuba, dove ha modo di conoscere personalmente Che Guevara, e lavora (prima a Bogotà, poi a New York) per l'agenzia Prensa Latina, fondata da Jorge Ricardo Masetti e dallo stesso Castro, del quale divenne un buon amico. Questa amicizia - che egli definì intellettuale e letteraria, più che politica - con il líder maximo gli fruttò diverse critiche, pur non impedendogli di essere stimato e apprezzato anche negli Stati Uniti (ad esempio dall'ex Presidente Bill Clinton, il quale ha dichiarato che è il suo scrittore preferito, e lo ha anche incontrato alla Casa Bianca, rimuovendo il divieto al visto d'ingresso posto sullo scrittore nel 1961, a causa della sua frequentazione di Cuba). Dalla moglie Mercedes Barcha Prado (1932-2020) ha avuto due figli, Rodrigo (nato a Bogotá nel 1959) e Gonzalo (nato in Messico nel 1962).
Nel 1961 si trasferisce a New York, sempre come corrispondente di Prensa Latina. Sentendosi messo sotto sorveglianza dalla CIA e minacciato dagli esuli cubani anticastristi, decide di trasferirsi in Messico, dopo aver perso l'autorizzazione alla residenza permanente come cronista negli Stati Uniti, in seguito a decisioni politiche.
Nel 1971, a causa dell'«affaire Padilla» - il governo cubano aveva fatto arrestare e poi costretto ad una pubblica autocritica, in cui accusava sé stesso e la moglie (condizione imposta per l'immediato rilascio e la concessione del visto d'uscita), il poeta Heberto Padilla, per avere scritto contro la Rivoluzione e il castrismo -, molti intellettuali socialisti e comunisti, tra cui Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Alberto Moravia, Mario Vargas Llosa, Federico Fellini e altri firmarono una lettera di critica al governo cubano, rompendo di fatto i loro rapporti e il sostegno a Castro: García Márquez fu, al contrario, l'unico degli intellettuali interpellati che si rifiutò di firmare questa lettera aperta, e il fatto che Vargas Llosa lo avesse invece fatto, interruppe il loro lungo rapporto d'amicizia (Vargas Llosa aveva scritto la sua tesi di dottorato proprio sull'opera di García Márquez); a seguito di questo episodio i due scrittori sudamericani non si sono parlati per oltre trent'anni, avendo troncato definitivamente ogni contatto dopo un acceso litigio a Città del Messico nel 1976, in cui, in parte per le divergenze politiche ed in parte per motivi personali, Vargas Llosa colpì García Márquez con un pugno in pieno volto. Solo nel 2007, nonostante Vargas Llosa fosse rimasto sulle sue posizioni anticomuniste e neoliberiste, avvenne una parziale riappacificazione, quando l'autore peruviano permise la pubblicazione di un suo saggio del 1971, nell'introduzione di una nuova edizione di Cent'anni di solitudine.
Gabriel García Márquez (assieme al suo amico italiano Cesare Zavattini) a Cuba è stato cofondatore della Scuola Internazionale di Cinema e TV (a San Antonio del Los Baños, alla periferia dell'Avana) tuttora molto attiva.

Attività letteraria e politica successiva (1961-2000)

Il suo esordio letterario avvenne nel 1955 con il romanzo Foglie morte, ma il primo racconto risale al 1947. Dopo il trasferimento in Messico, si dedicò in maniera costante alla scrittura. Nel 1967 pubblicò la sua opera più nota: Cent'anni di solitudine un romanzo che narra le vicende della famiglia Buendía a Macondo attraverso diverse generazioni. Un'opera complessa e ricca di riferimenti e allusioni alla storia e alla cultura popolare sudamericana, considerata la massima espressione del cosiddetto realismo magico, e che ha consacrato in tutto il mondo García Márquez come un autore del massimo livello.
Nel 1973 abbandona temporaneamente, per circa due anni, la letteratura per dedicarsi al giornalismo sul campo, come segno di protesta per il colpo di stato cileno del generale Augusto Pinochet, che portò alla morte del presidente Salvador Allende. Nel 1974, a Roma ha fatto parte della sessione II del Tribunale Russell, organizzazione indipendente fondata dal matematico e pensatore Bertrand Russell e dal filosofo Jean-Paul Sartre ai tempi della guerra del Vietnam, che ha esaminato le violazioni di diritti umani in Cile.
Negli anni successivi seguiranno numerosi altri romanzi e saggi, fra i quali spiccano soprattutto L'autunno del patriarca (1975), Cronaca di una morte annunciata e il più noto L'amore ai tempi del colera, pubblicati negli anni settanta e ottanta, che ottengono un grande successo di pubblico in tutto il mondo, e dai quali sono state tratte omonime versioni cinematografiche. Nel 1976 dichiara che non pubblicherà più nulla fino a che Pinochet deterrà il potere in Cile, ma cambierà idea nel 1980, accettando una nuova pubblicazione; nel 1986 pubblicò invece, sempre sulla dittatura di Santiago, Le avventure di Miguel Littin, clandestino in Cile, reportage sul regista dissidente cileno Miguel Littín.
Dal 1975, Gabriel García Márquez vive tra il Messico, Cartagena de Indias, L'Avana e Parigi. Nel 1982, venne insignito del Premio Nobel per la letteratura. Dagli anni ottanta agli anni novanta trascorrerà poco tempo in patria (anche se ritornò nella vecchia residenza di Aracataca nel 1983, l'anno prima della morte di suo padre), insanguinata dalla guerra tra governo, narcotrafficanti e guerriglieri come le FARC. Come già fatto in passato, García Márquez si proporrà e svolgerà il ruolo di mediatore per cercare di ottenere la pace in Colombia, fino agli anni 2000.
Nel 1986 conosce il leader sovietico Michail Gorbačëv a Mosca, e partecipa a cerimonie politiche invitato da Carlos Andrés Pérez in Venezuela e François Mitterrand in Francia. Negli anni novanta, prima della malattia che lo colpirà, diventa un simpatizzante del leader venezuelano Hugo Chávez e del socialismo del XXI secolo, anche se non ne apprezza tutte le iniziative, sostenendo l'azione di Castro presso il leader bolivariano, che secondo lo scrittore servì a moderarne molte posizioni estreme ed intransigenti.
Inoltre critica il presidente colombiano Álvaro Uribe Vélez, ex liberale di sinistra passato al centro-destra, soprattutto per la sua politica proibizionista sulle droghe che, secondo lo scrittore, rafforzerebbe i cartelli dei narcotrafficanti di cocaina anziché indebolirli, mentre la cessazione della war on drugs poteva aprire scenari di pacificazione con le frange di popolazione che appoggiano i cartelli, invitando questi ultimi a deporre le armi. Sui cartelli della droga scrive anche il resoconto Notizia di un sequestro, un libro-intervista agli ostaggi di un sequestro di persona ad opera del celebre trafficante Pablo Escobar. Si oppone all'estradizione di Escobar negli USA, sostenendo che vada giudicato per i suoi crimini in Colombia (Escobar morirà poi in uno scontro a fuoco con le forze governative) e alla militarizzazione del paese. Lo scrittore propose una politica di mediazione e di pace tra governo, cartelli e gruppi guerriglieri come le FARC.

La malattia e il ritorno (2000-2010)

Nel 1999 gli viene diagnosticato un linfoma (linfoma non Hodgkin) che lo spinge a iniziare a scrivere le sue memorie, alle quali si dedica per parecchie ore al giorno, e nel 2000 il periodico peruviano "La República" diffonde l'errata notizia secondo cui il Nobel sarebbe ormai agonizzante. In realtà era a Los Angeles, per sottoporsi ad alcuni cicli di chemioterapia; sosterrà che il tumore è stata l'occasione per tornare a scrivere dopo un periodo di silenzio.
García Márquez nel 2009
Poco dopo circolò in rete lo scritto La Marioneta, una sorta di commiato dagli amici più cari. In un'intervista al periodico mattutino salvadoregno El Diario de Hoy, datata 2 giugno 2000, fu lo stesso García Márquez a negarne la paternità, affermando, tra l'altro: «Quello che potrebbe uccidermi è che qualcuno creda che io abbia scritto una cosa così kitsch. È la sola cosa che mi preoccupa». In seguito, García Márquez e l'autore del brano, Johnny Welch, si incontrarono, ponendo fine alla querelle.
Nel 2002 pubblicò la prima parte della sua autobiografia intitolata Vivere per raccontarla. Nel 2005 García Márquez, vinta definitivamente la sua battaglia contro il cancro, è tornato alla narrativa con quello che sarebbe stato il suo ultimo romanzo, Memoria delle mie puttane tristi, mentre nel 2010, riprendendo la linea autobiografica, ha pubblicato il saggio Non sono venuto a far discorsi, raccolta di discorsi da lui scritti e pronunciati in varie occasioni. Negli anni 2000 fu tra i molti firmatari di una petizione a sostegno dell'ex terrorista e scrittore italiano Cesare Battisti.

Gli ultimi anni

Nel 2012 l'amico Plinio Mendoza dichiarò che lo scrittore era stato colpito dalla malattia di Alzheimer (patologia che aveva già colpito la madre dello scrittore, morta nel 2002 all'età di 97 anni) e che pertanto non avrebbe potuto più scrivere. La notizia fu confermata dal fratello Jaime, secondo il quale "Gabo" era affetto da demenza senile, ma non dalla moglie, secondo cui i problemi di memoria erano quelli fisiologici delle persone anziane. Lo stesso scrittore ha dichiarato alla stampa, per il suo 86º compleanno, il 6 marzo 2013, di essere "molto felice di essere arrivato a quest'età" senza fare cenno alla presunta malattia.
García Márquez è ricomparso in pubblico il 30 settembre 2013, in buone condizioni di salute. Nel 2014 la salute dello scrittore declinò nuovamente, e il 17 aprile 2014 Garcia Marquez muore all'età di 87 anni in una clinica di Città del Messico, dove era stato ricoverato pochi giorni prima per un problema respiratorio dovuto a polmonite e per un'infezione delle vie urinarie. Per commemorare la scomparsa del premio Nobel colombiano, il presidente Juan Manuel Santos ha disposto il lutto nazionale per tre giorni.

mercoledì 3 settembre 2025

 LETTERATURA OMNIBUS

Ciò che seguirà nelle prossime pagine è un buon numero di "articoli" di critica letteraria, ovvero di commento a testi pur essi di letteratura, italiana e straniera, che presenterò ai potenziali lettori in maniera consecutiva ma senza un criterio ordinatorio preciso, cioè non ad esempio sulla base di elementi come la "nazionalità" o la "lingua" dell' Autore o il genere letterario di ciascuna "opera" considerata. Ho l'abitudine di leggere anche un intero romanzo al giorno. Ecco, ciò che amerei fare sarebbe parlare o più propriamente "scrivere" a proposito di un testo di letteratura nei giorni immediatamente successivi alla fine della lettura. Ciò non mi consente, come mi pare sia chiaro, di ordinare il materiale, che non fa parte di un'opera critica "universale" ma piuttosto si compone di note e sentori che appartengono all'immediatezza di una lettura "compiuta", che tanto sono apprezzabili quanto più vicini nel tempo alla lettura dell'opera che si intende commentare e in ottemperanza al valore, "in primis" letterario, e in secondo momento, ciò che più conta, possibilmente "universale" che l'opera in questione possa rasentare.

Le considerazioni che tenterò di elaborare potranno più o meno "piacere" a chi le leggerà, sempre ammesso che ad oggi e con i tempi che corrono esista ancora qualcuno disposto a leggere scritti di analisi del testo "letterario" o comunque aventi a fondamento uno o più testi letterari di uno o più Autori.

Mi auguro che tutto ciò che verrà fuori da questo blog sia adeguatamente apprezzato principalmente da chi è curioso, cioè da coloro che sentano l'esigenza di condividere o anche magari non condividere un giudizio che provenga da un semplice ma assiduo lettore, quale sono io e quali vorrei fossero quanti potrebbero imbattersi in questo blog. Mi riprometto che farò del mio meglio per dire qualcosa di nuovo, a livello critico, rispetto a quanto sia già stato detto e scritto su autori che sono ormai dei veri e propri classici. Ma se è vero, come sosteneva Calvino, il quale è peraltro uno degli Autori di cui mi occuperò, che "un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire", direi che da dire ce ne sarebbe. 

Per quanto riguarda tutto ciò che esula da questa premessa, rimetto un sereno giudizio ai "venti lettori" di manzoniana memoria, confidando nella loro clemenza.

Per adesso un "caro saluto".